Thursday, June 29, 2006
Wednesday, June 21, 2006
Sunday, June 18, 2006
Saturday, June 17, 2006

Rete Civica Pisana
Manifestazioni > palio san ranieri
Palio San Ranieri
Palio Remiero di San Ranieri
17 Giugno di tutti gli anni
Nel pomeriggio del 17 giugno, per dar lustro alla ricorrenza patronale di San Ranieri, quattro imbarcazioni che rappresentano i colori dei più antichi quartieri cittadini - Santa Maria, San Francesco, San Martino e Sant’Antonio - disputano sulle acque dell’Arno una regata, retaggio della prestigiosa tradizione di Pisa repubblica marinara. Questo evento riesce a coniugare la genuina passione sportiva, propria della competizione agonistica, con l’antico e diffuso costume di disputare palî remieri. Le imbarcazioni, a sedile fisso, con otto vogatori ed un timoniere, si ispirano alle tipiche fregate del mediceo Ordine dei Cavalieri di Santo Stefano. Dopo millecinquecento metri di voga controcorrente avviene l’abbordaggio d’un barcone ancorato sulla linea del traguardo, ed il montatore che affianca l’equipaggio deve arrampicarsi su di un pennone alto dieci metri, per afferrare il palio simbolo della vittoria. Una coppia di paperi è il poco ambito riconoscimento riservato all’equipaggio classificatosi ultimo. Il Palio di San Ranieri discende dalla tradizione degli antichi Palii che venivano corsi in Pisa, fin dal Medioevo, per celebrare l’Assunta. La parola palio deriva dal latino pallium, antico indumento romano costituito da un pezzo di stoffa rettangolare che veniva indossato così come usciva dal telaio, senza nessun intervento di taglio o cucitura. Nel medioevo il palio, rappresentato da una ricca stoffa lunga alcune braccia, veniva usato per accogliere re ed imperatori, ponendolo sopra le loro teste come un baldacchino, o offerto su aste o lance come un vessillo, tanto da far assumere alla parola palio anche il significato di bandiera o stendardo.
Immagini della Regata edizione 2005
Albo d'oro
Notizie di queste accoglienze possiamo trovarne nella “Cronaca di Pisa” di Ranieri Sardo.I premi che venivano offerti in dono ai vincitori nelle corse medievali, solitamente di cavalli, consistevano in alcune braccia di seta, lana o velluto, e venivano indicati come palii. Si trattava perciò di “correre per vincere il palio” dizione che più tardi si abbreviò in “correre per il palio” o “correre il palio”, tanto che questa parola in seguito non indicò più il premio ma la gara disputata per vincere il premio stesso. Sappiamo che in Pisa la festa dell’Assunta veniva resa pubblica il primo di agosto con un particolare cerimoniale. Uscivano dalla città venti cavalli coperti da gualdrappe scarlatte, con le “armi” della Comunità, cavalcati da giovani vestiti di abiti ricchissimi, per proclamare i palii che dovevano vincersi in terra ed in Arno. Tra i documenti degli Anziani di Pisa troviamo che il premio per il vincitore, sia per competizioni in terra che in acqua, non era costituito solo dal drappo o palio propriamente detto, ma anche da animali, come un bue, un montone, un porco, un gallo ed un papero per l’ultimo arrivato. È interessante notare come fosse molto più alto il valore dei palii rispetto agli animali posti in premio, e che questi beni, essendo destinati a festeggiare l’Assunta fossero esenti da gabella. Dopo la caduta della città sotto il dominio fiorentino (1406) la regata conobbe alterne vicende; notevole quella fatta disputare dai fiorentini nel 1440 per festeggiare la loro vittoria sui milanesi, avvenuta ad Anghiari il 29 giugno di quell’anno.
Così la ricorda l’annalista pisano Tronci: “in Pisa fu corso un palio per Arno con fregate a dodici remi. La mossa fu dal monastero d’Ognissanti fuori dalla città, fino al ponte della Spina, per il quale oggi (scriveva nel 1682) si va in fortezza; e a chi primo toccò la meta fu dato in premio un vitello coperto di scarlatto con l’arme della Repubblica fiorentina da un lato e quella del Comune di Pisa dall’altro”. Nel 1494 furono i pisani che in segno di giubilo per la promessa di libertà dai fiorentini fatta loro da Carlo VIII vollero correre in Arno un Palio. Riferisce lo storico Portoveneri nel suo “Memoriale” che il 22 giugno 1495 si corse in Arno un palio di raso in seta al primo brigantino, al secondo un palio di panno, al terzo un paio di calze. Dopo la definitiva conquista di Pisa da parte di Firenze nel 1509, la regata cadde in disuso e solo nel 1635 il Consiglio dei Priori, per volontà del cittadino pisano Antonio Bartaloni Seppia - il quale aveva disposto, nel 1631, che dopo la sua morte dovesse essere corso annualmente un Palio del valore di 50 scudi, per la Festa dell’Assunta - fece riprendere l’usanza, decidendo di correre il Palio in Arno. La corsa doveva essere effettuata alle quattro del pomeriggio, seguendo un preciso cerimoniale: il Palio veniva esposto sopra l’antenna del Ponte di Mezzo ed in Arno in prossimità del ponte stesso veniva collocata una chiatta con un’altra antenna, sulla cui sommità era posta una banderuola o fiamma. Le imbarcazioni ammesse al Palio, radunate intorno all’antenna, dovevano andare alla volta del Ponte a Mare “e questo non per vincersi o perdersi il Palio da esse, ma per bel vedere e gusto della città”. Ogni imbarcazione, giunta al ponte a Mare, doveva prendere l’estratta posizione ed attendere il segnale di partenza.
Quella che, giunta all’arrivo, riusciva con un suo componente dell’equipaggio a salire sull’antenna e prendere la banderuola aveva vinto il Palio. Fu definitivamente stabilito anche il tipo di imbarcazione da usare, la fregata, la cui etimologia deriva forse dal greco “aphracta”, nave senza ponte. Antonio Cosi, nella sua relazione al Consiglio dei Priori afferma che la fregata non differiva dalla lancia se non di nome e che quest’ultima aveva meno velocità per la mancanza di “apposticci”. Gli apposticci sono i supporti laterali sporgenti dal bordo delle imbarcazioni destinate a questa regata, a mo’ di corridoio, su cui sono collocati gli scalmi. La corse doveva dunque essere di “fregate” e non erano ammesse altre imbarcazioni quali lance, gondole o simili. Nel 1718 alcune delle fregate che corsero il Palio, per la prima volta dedicato a San Ranieri e non all’Assunta, portavano i nomi gloriosi delle galere Stefaniane che avevano partecipato alla Battaglia di Lepanto combattuta contro i Turchi per il predominio della Cristianità. La vittoria nella Battaglia di Lepanto fu un episodio quanto mai significativo per il pisano Ordine dei Cavalieri di Santo Stefano. È logico comprendere come queste gesta avessero suscitato un grande entusiasmo per i Cavalieri di Santo Stefano, specialmente a Pisa sede dell’arsenale ove le galere venivano costruite, e che nel riproporre il Palio in Arno fosse logico fare riferimento a questa battaglia, anche se l’ultimo scontro navale al quale presero parte le navi dell’Ordine ebbe luogo non moltissimi anni dopo, nel 1719 quando due galere Stefaniane catturarono tre legni corsari lungo le coste della Sardegna. Nel 1737 l’arrivo del Palio, ormai consolidato come regata di San Ranieri, fu effettuato sul tratto di fiume prospiciente l’attuale Lungarno Mediceo, su richiesta del Duca di Montelimar, ospitato in uno dei palazzi lì situati, e da quel giorno l’arrivo fu mantenuto sempre in prossimità del Palazzo Medici (oggi sede della Prefettura).
Oltre ai Palii per San Ranieri si ebbero altre edizioni famose, corse in occasione di particolari avvenimenti: nel 1763, per la nomina a Granduca di Pietro Leopoldo, nel 1801 in omaggio al re Ludovico d’Etruria, nel 1839 per il famoso Congresso degli Scienziati, nel 1860 quando i barcaioli di Pisa corsero spontaneamente una regata in onore dei genovesi che avevano restituito il 22 aprile le catene del Porto Pisano, e nel 1864 per il Centenario Galileiano.Le imbarcazioni usate per il Palio di San Ranieri sono di tipo ad otto vogatori più timoniere ed il “montatore“. Le imbarcazioni furono realizzate, in occasione del ripristino della manifestazione nel 1935, dal Cantiere Fontani di San Piero a Grado (Pisa). Erano costruite in legno, lunghe 11 metri, larghe 2,20 metri e del peso di circa 700 chilogrammi l’una. I remi erano lunghi 4,60 metri e pesanti oltre 18 kg. Gli scafi ricalcavano fedelmente se pure in scala ridotta la linea delle “galere sottili” dell’ordine Stefaniano a forma di fregata, con gli scalmi sugli “apposticci“ (bordi) come la tradizione richiedeva. Queste imbarcazioni sono state utilizzate fino all’edizione del 1984. Successivamente sono state sostituite da esemplari in vetroresina molto più veloci e leggeri. Ogni imbarcazione rappresenta uno dei quattro quartieri cittadini, individuati idealmente per la suddivisione della città in quattro settori dall’intersezione delle due principali vie cittadine, aventi direzione nord - sud, e l’Arno, direzione ovest - est.
Ogni quartiere è contraddistinto da propri colori. In senso orario troviamo nella parte sud della città: San Martino (dai colori bianco e rosso) e Sant’Antonio (bianco e verde), mentre nella parte nord: Santa Maria (bianco e celeste) e San Francesco (bianco e giallo). Il percorso tradizionale in Arno è quello controcorrente, con partenza a monte del ponte della Ferrovia e con l’arrivo davanti al Palazzo Medici (sede della Prefettura), per un totale di 1500 metri. La caratteristica di questa regata, oltre alla presenza del “montatore”, è quella di mantenere inalterate le caratteristiche degli antichi palii, in quanto ogni timoniere subito dopo la partenza, compatibilmente con la possibilità di sopravanzare le altre imbarcazioni, ha la possibilità di sceglie la traiettoria reputata più favorevole. Questo comporta una lotta accanita fin dalle prime remate, perché i timonieri cercano subito di sopravanzare le barche concorrenti per portarsi dalla parte sinistra del fiume per subire meno l’influenza della corrente, contraria al senso di marcia, e per percorrere il lato interno, più breve, dell‘ampia curva del tratto cittadino dell’Arno. La vittoria finale non è assegnata in base all’ordine di arrivo delle imbarcazioni ma è affidata, dopo l’abbordaggio d’un barcone ancorato sulla linea di traguardo, all’abilità del montatore che affianca l’equipaggio. Infatti qui il montatore deve arrampicarsi su di un uno dei quattro canapi che raggiungono la sommità di un pennone alto dieci metri, per afferrare il “paliotto” simbolo della vittoria. Il paliotto di colore azzurro assegna la vittoria, quello di colore bianco il secondo posto, quello di colore rosso il terzo. Una coppia di paperi, come preannunciato, è il riconoscimento riservato all’equipaggio classificatosi ultimo. Questo oltre a significare la conquista dell’antico palio, ricorda l’impresa di Lepanto quando la flotta dei Cavalieri di Santo Stefano andò all’abbordaggio dell’ammiraglia turca, ad impadronirsi della “fiamma” da combattimento posta sul pennone dell’imbarcazione degli “infedeli”. Detto stendardo attualmente è conservato nella Chiesa dei Cavalieri a Pisa.
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Manifestazioni >Luminara di San Ranieri
Luminara di San Ranieri
Luminara di San Ranieri
16 giugno 2006
Sui Lungarni di Pisa si rinnova ogni anno, all’imbrunire del 16 giugno,l’incantesimo della Luminara di San Ranieri. Infatti, per antica tradizione, i pisani sono soliti celebrare con questa singolare illuminazione a cera la festività patronale del 17 giugno. Sono circa settantamila i lumini che per ogni edizione vengono meticolosamente deposti in bicchieri di vetro liscio diafano, ed appesi in telai di legno, dipinti di bianco (in gergo: "biancheria"), modellati in modo da esaltare le sagome dei palazzi, dei ponti, delle chiese e delle torri che si affacciano sui lungarni pisani. Unica eccezionale appendice rispetto a questo scenario è la Torre Pendente, illuminata altrettanto arcaicamente con padelle ad olio, collocate anche sulle merlature delle mura urbane, nel tratto che racchiude la Piazza dei Miracoli. Dopo l’accensione, per effetto del riverberarsi della miriade di luci tremule nelle acque dell’Arno, dove vengono deposti ed affidati alla corrente anche lumi galleggianti, l’evento offre al visitatore una suggestione unica, indescrivibile, proprio per l’estatico incanto che sin dall’antichità rende magiche le notti pisane del 16 giugno.
Luminara dei S. Ranieri 16 giugno 2005. Videosintesi dei fuochi visti dal Palazzo alla Giornatamodem - ISDN doppio canale - 512k dsl cable
Il 25 marzo 1688, nella cappella del Duomo di Pisa, intitolata all’Incoronata, venne solennemente collocata l’urna che contiene il corpo di Ranieri degli Scaccieri, Patrono della città, morto in santità nel 1161. Cosimo III dei Medici aveva voluto che l’antica urna contenente la reliquia fosse sostituita con una più moderna e fastosa. La traslazione dell’urna fu l’occasione per una memorabile festa cittadina, dalla quale, secondo la tradizione, ebbe inizio la triennale illuminazione di Pisa che dapprima si chiamò illuminazione e poi, nell’Ottocento Luminara. Tuttavia l’idea di celebrare una festa illuminando la città con lampade ad olio non fu un’invenzione del momento, ma una consuetudine nata da tempo ed affermata gradualmente in occasione di avvenimenti particolarmente solenni o festosi e non necessariamente legati al culto del Santo Patrono. Si possono infatti trovare precise testimonianze di questa tradizione: il 14 giugno del 1662 (prima cioè che si provvedesse alla traslazione del corpo di San Ranieri) l’illuminazione fu allestita in onore di Margherita Luisa principessa d’Orleans e sposa di Cosimo II che transitava da Pisa per recarsi a Firenze.
Vi è traccia anche di precedenti edizioni come quella organizzata in onore di Vittoria della Rovere in occasione della festa notturna per il carnevale del 1539. Nata come illuminazione delle finestre di case, per il passaggio dei cortei o processioni, la Luminara, seguendo le nuove fantasie scenografiche del tempo, andò configurandosi, nel Settecento, come libera architettura luminosa applicata agli edifici, dei quali sempre meno rispettava le reali strutture, inventando forme bizzarre che trasformavano la città, e specialmente il Lungarno, in uno scenario teatrale di effetto fantasmagorico. In alcuni edifici l’illuminazione continuava comunque ad avere la funzione di sottolineare le strutture esistenti. Le vicende della Luminara hanno seguito costantemente quelle della città. Abolita nel 1867, venne ripristinata nel 1937 in occasione della ripresa del Gioco del Ponte e sospesa durante la seconda guerra mondiale.
Si tornò ad allestire la Luminara per la festa di San Ranieri del 1952 e la tradizione durò fino al 1966. Nel novembre di quell’anno la violenza dell’alluvione provocò il crollo del Ponte Solferino e di lunghi tratti del Lungarno. Si ebbe quindi una nuova interruzione della Luminara, che venne ripresa nel giugno 1969.
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Thursday, June 15, 2006
Um show para lembrar. Miúcha entremeia as músicas do Vinicius, Tom e Chico com toques sobre a convivência com os três, numa atmosfera envolvente, que absorve o ânimo, entre risadas (as bebedeiras em Ipanema e histórias mirabolantes da turma- como o Tom Jobim tentando, sem sucesso, falar francês, e o Vinícius olhando pra ele com olhar complacente, sem dar muita bola) e um tom melancólico de nostalgia e romantismo. Começa com Samba do Avião, percorre trechos de João e Maria,cumpre o programa do show, mas surpreende. Pede coro com Eu Sei que Vou te Amar, no finalzinho, faz que vai embora, mas volta pra cantar um pouquinho mais.Faz gracinhas cantando com o pianista Quando a Luz dos Olhos Meus e a Luz dos Olhos Teus...Interrompe para bater papo, e continua cantando. Fala da sua recente proposta de Canonização do "Santo Vinícius de Moraes", que iniciou no Chile, com ofício pra mandar ao Vaticano, entre risadas com a platéia. A gente fica pairando num instante longo, entre a voz e as memórias.As dela e as nossas.E mais: se sente tudo o que se possa imaginar, quando contado por quem viveu as cenas,as figuras, os tons. Num vai-e-vem crescente, entre cantoria e conversa, se escuta as preciosidades de quem teve Vinícius,Tom e Chico em mesa de bar. Conta da viagem da turma pela turnê na Europa, nos anos 70,e as peripécias (bem ridas) daqueles tempos. Faz arrepiar a riqueza de histórias e sensações que ela tem pra contar, e pra cantar. Com o cenário pequeno, e um pianista que alinhava a atmosfera, a voz da Miúcha captura a atenção, fazendo com que se fique ali de todo, entrando em cenários contados por ela, entre uma música e outra. Um tom de melancolia, isso sim, mas uma melancolia boa. Fala do Chico, seu irmão, e de histórias entre ele e o Tom, ele e o Vinícius, ele e ela, a própria Miúcha, e diz que o Vinícius reclamou da letra de Maninha, dizendo que a casa descrita na música "nem jaqueira não tinha", que era tudo mentira...Com a intimidade de quem pode falar essas coisas. As preciosidades contadas dão mesmo o tom das mesas de bar daquele Rio, dos bate-papos, dos pileques bem tomados... Histórias de vidas bem vividas, de que chegamos a sentir o gostinho pela voz risonha desta noite.
Betina
15/06/06.
Wednesday, June 14, 2006
Docente(s):
Miúcha
Data:
15 de junho de 2006
Até:
15 de junho de 2006
Horário:
21h
Mais informações:
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Wednesday, June 07, 2006
Sunday, June 04, 2006
Saturday, June 03, 2006
Bile Negra- melanos cholein- Melancolia
“ Porque a potência da Bile Negra é inconstante, inconstantes são os melancólicos.” Aristóteles- Problemata XXX,I
Eis a minha confissão, meu caro doutor. Diga-me, o que devo fazer?” Carta de um Louco- Guy de Maupassant
17 de fevereiro de 1885
K.- E então, Martha, como se sente...?
(Silêncio)
M.- De onde vêm tantas vozes...? Vozes que me atormentam, me assombram...acusações por toda parte...Mesmo com meus passos lentos e surdos, sei que a cidade se movimenta...(silêncio). Amantes escondidos, esposas traídas, fetos abortados...E pareço ter construído minha vida sobre hábitos tranqüilos e regulares, saio sempre às mesmas horas de casa para a biblioteca e dali para casa. No caminho, vou ao secos e molhados da esquina...como ontem, quando fui comprar pão, leite, couve e ovos...Um pão de dois dias, os ovos rachados, o leite guardado no porão, há meses já. E a couve...a couve murcha...Sempre passo na mercearia à tardinha, quando os melhores produtos do estabelecimento já foram comprados pela manhã. Minha rotina escurece cedo, durmo nos mesmos horários, talvez porque não tenha por que permanecer desperta. Todos sabem quando dormi: apaga-se a única luz de vela que ainda mantenho acesa até ás 20hs, há tantos anos...Até ali, leio algum livro empoeirado trazido da biblioteca para me acompanhar enquanto tenho a luz da vela; nem sei o que leio, mas percebo o roçar da páginas na imensa inquietude do silêncio...Me inquieto por saber que, quando apagar-se a vela, a cidade falará de quem escondo em minha casa, e da devassidão que trouxe à minha vida, das noites calorosas que imaginam que atravesso após o fim daquela luz solitária. Não me acreditam solitária, não acreditam na imagem de donzela recatada, a que sai e volta para o trabalho todos os dias, com a discreta pausa na mercearia. Esperam de mim uma rotina leviana, me creditam o insucesso, a ruína, a imoralidade...Minhas noites são tomadas de mim mesma, sei que no outro dia acordarei, tomarei meu chá de maçã e prenderei meus cabelos nesse coque mal-penteado...Sairei e, como sempre quando saio de casa para a biblioteca, e de lá para casa, os sinos da igreja tocarão, anunciando que estou na rua, e que mais uma noite devassa chegou ao fim. É quando todos se olham, incriminando-me de meu passado, presente e futuro.
K.- Acredita então que a cidade controle seus afazeres, seus horários...?
M.- Sempre espero chover no dia seguinte, quando a cidade se esconde. Ainda assim, os sinos avisam a todos quando me desloco...Tanto que os olhares, quer da rua, quer das janelas, conhecem meu destino...Me ofusca a luminosidade do sol, nos dias de sol, como se minhas marcas ficassem mais nítidas com a luz. Todos vêem, todos falam.
K.- Marcas?
M.-( Silêncio) expressando pudor na região dos lábios e vergonha no olhar. (silêncio)
Falam de meu passado como amante de Ludwig, pelas ruas, me atormentam com olhares...Na biblioteca, uma vez, conseguia separar os livros por interesses, catalogá-los, reencapá-los...Pouco conseguia ler, que a biblioteca é bastante escura, mas levava livros para ler em casa...Hoje vou à biblioteca para me esconder, pois se ficar em casa dirão que escondo homens de família no sótão....Só os livros sabem que não consigo mais trabalhar, que não me interesso mais por reencapá-los ou catalogá-los, que apenas me escondo ali...Ninguém entra, ninguém sai...Pelas janelas, vejo a chuva, vejo o sol, vejo os transeuntes lá em baixo, olhando curiosos, escrutinando quem terei levado lá pra cima, pra devassar-me entre as estantes de livros. Ali dentro, só escuto os sons das páginas quando às vezes tiro o pó de um livro...E escuto as vozes, tantas vozes, que me assombram e vigiam...
K. E as vozes, de quem são...?
M. Escuto a cidade em seu burburinho, traçando os passos do meu dia e dos meus pensamentos, me incriminando. Têm volume alto, todos escutam meus segredos, as recriminações. Até os olhares têm vozes...
K.- (tom cordial)... Explique-se, por favor...
M.- De fato existe algo entre eu e o mundo...Ontem fui, como em todos os dias à tardinha, à mercearia...Já havia o sino tocado, todos sabiam que eu transitava pela cidade, e que àquela altura, pela hora, já estaria ali...Friederich me olhou ao alcançar o pão, e olhou para Anna com olhos inquisidores...Ele me olhou como se soubesse de minha ruína, meu estado atual, já nessa idade avançada, e ainda solteira, deixada...Olhou-me sabendo de um segredo que me incrimina, que poderia me arrasar. Posso imaginar que ele saiba, mas eu mesma não sei. As vozes dizem que destruo lares, uma leviana...Ele poderá ouvi-las...? se soubesse disso, me teria feito saber,é um homem do bem...parece...Poderá estar contando aos outros fregueses, por isso os olhares severos por toda parte. É o único estabelecimento de secos e molhados da cidade...Todos compram lá, de manhã cedinho, quando vem o melhor pão...E os melhores comentários das noites no sobrado onde moro...Desde o horário mais cedo da manhã, me olham como desvendando a minha inquietude, meus pecados.Ontem me apontou na rua uma senhora zelosa, mãe de família, que não hesitou em me acusar com sua moralidade...Fez isso com os olhos, mas fez de fato, balbuciando pregações. Não tenho pudor ou respeito, e os olhares me gritam. Não deixo calar meus pensamentos, não consigo silenciá-los quando me vejo no escuro do meu siilêncio, da minha rotina solitária. É quando me lembro que todos já sabem que fiz algo, que ainda nem sei o que será. Quando me lembro da minha ruína. Os pensamentos são rápidos, inquietos, mas minha velocidade arrastada me impede de alcançá-los...Até meus pensamentos conhecem mais de mim do que eu possa alcançar...
K.- Parece estar difícil viver assim...
M.- (Silêncio)
(Olha para o interlocutor, mostra-se hesitante)
Por vezes penso...(pausa), mas mal consigo erguer-me pela manhã... Seria melhor se não sobrevivesse...(pausa). Mataria a mim, apenas, para que ninguém guardasse na memória as idéias de minha ruína...(pausa)...
Betina mariante Cardoso
Friday, June 02, 2006
Esta é uma estória de engrenagens. Personagens. Letras escondidas.
Não escritas. A fechadura, fechada. Parece. Narrativas esquivas, do lado de lá. Em outra caneta. Uma engrenagem de ferro abre um velho portão pra fora. E pra dentro. E então tem-se um conto. Pronto.
Da fechadura, basta girar a chave.
Portão de madeira pesado, é a primeira impressão. Maciço. Silencioso, isto sim. Ilustre senhor da calçada.
Do tamanho do tempo. Pode-se não abri-lo, encerra-se o conto. Abrindo, faz-se trabalhar a engrenagem, enguiçada pelas estórias não contadas. Tantas.
Dia por dia, abre-se e fecha-se. Cenários de dentro e de fora. Enredos passantes, e ele ali. Fico certa de que me sabia, espiava meu olhar curioso. Em cada detalhe de seu abrir. Estórias. Como uma caneta, que tudo guarda. Silenciosa, ilustre, contendo suas letras. Ali a engrenagem.
Abre-se o portão na folha pautada.
Thursday, June 01, 2006


De volta ao Diário Pisano...
Dia primeiro de junho foi o dia em que iniciei o estágio no Servizio di Psichiatria do Cassano. E um dia pra lembrar. Já tinha ensaiado a ida tantas vezes, conhecido o percurso, mas o dia é o dia. Café no Ussero, trajeto pelo Lungarno, Via Roma, Via Savi,Via Bonanno, em passos firmes. Ensaiar a chegada dias antes.Chegar. Chegar o dia.
